Equazioni

Cara Futura Me,

Mentre ti scrivo, mi accorgo che nel frattempo è stato proprio il futuro a cambiare per sempre.
Non che sia mai stato qualcosa che sapevamo conoscere davvero.
Ma un anno fa hai avuto la netta sensazione che per la prima volta il futuro è diventato presente più in fretta.
In poco tempo, un contagio virale, unito al wi-fi, ci ha reso un pianeta unico, con lo stesso contagio emotivo.

A scaglioni, la paura di Wuhan, è arrivata a Lodi, poi a Londra, a New York, poi ovunque finché la paura si è assomigliata dappertutto. Abbiamo creato un manuale su come reagire, e ce lo siamo passati tutti di mano, come un bigino alla maturità. Con tutti gli errori del caso, siamo stati costretti ad agire come sistema, a trovare il design nascosto dietro la minaccia e a condividerlo. A provare, a sbagliare. A battere in ritirata quando necessario. A inventare quando non c’era nient’altro.

Ancora più in fretta, siamo stati costretti a mettere in discussione il nostro centro. Senza aiutare le persone, niente pianeta. Senza aiutare il pianeta, niente persone. Senza empatia niente servizio, senza servizio niente empatia.

“Cut throat” lo definirebbero in inglese, un momento radicale che ha diviso le biglie rosse da quelle blu in tempi record.

Come in un lavaggio in lavatrice ad alte temperature la pandemia ha ristretto tutto. La prossimità, dai vicini di balcone, ai servizi di vicinato, alla presenza fisica di qualcuno a fianco, è diventata qualcosa di insieme ambiguo e necessario: ci siamo accorti di come quando la davamo per scontato in realtà ci serviva, e di come invece anche se la ritenevamo l’unica cosa possibile, quando non c’è siamo capaci di trovare metodi alternativi ed efficienti.

Alcune parole sono invecchiate in fretta: lo smart-working per esempio, girava nell’aria da tempo, e adesso dobbiamo trovare un altro modo per chiamarlo, perché forse a cambiare significato non è stato lo “smart”, ma proprio tutto il “working”.

Allora futura me, da questa stagione, e la chiamo cosi perché sono convinta che ce ne saranno altre, voglio provare a lasciarti un’equazione.

Non perché le formule servano a qualcosa. L’abbiamo imparato che come gestivano le cose finora ci ha portato a un pandemico “qui e ora”. La cosa migliore quando si parla di formule adesso è partire con un umile “non lo so” e costruire da dentro, con un mix atletico di preparazione e improvvisazione.

Ma magari questo ti aiuta a mettere un po’ d’ordine da dove sei tu ora per quando sentirai addosso la frustrazione di osservare quanto siamo naturalmente portati a dimenticare le lezioni imparate.

Lascia stare una concezione passata di tempi collettivi e personali non allineati ai bisogni, lascia stare oggetti luccicanti che non risolvono davvero un problema, lascia stare le persone che diventano numeri, lascia stare la tecnologia come obiettivo senza applicazione, lascia stare l’innovazione senza parlare di crescita felice.

Porta in tasca solo questo.

(Resilienza + creatività)
– tutto quello che non serve
x community
= il presente che ci renderà futuri

A presto.

Donatella Caggiano
Comunicazione e Marketing