"C’è un cervello elettronico, non so dove, che funziona esattamente come il mio cervello”.
La voce è quella di Italo Calvino e l’anno è il 1978. Un’intuizione straordinaria, che oggi ci sembra
scritta apposta per raccontare l’era che stiamo vivendo: quella dell’Intelligenza Artificiale.
L’AI Era, infatti, è un mare in cui convivono entusiasmo e preoccupazioni. Da un lato, la potenza delle
“macchine” che ci offrono risposte immediate, dall’altro il timore che queste stesse “macchine” possano
sostituirci, riducendo l’essere umano a una comparsa sul palcoscenico del lavoro e della conoscenza.
Una domanda, più che legittima, si impone: e quindi, quale sarà il nostro ruolo?
La risposta, in fondo, è già lì. Calvino ci ha ricordato che la realtà vive di contrasti – leggerezza e
pesantezza, rapidità e lentezza, luce e buio – e la macchina restituisce solo e unicamente lo spettro
che va tra i due opposti. Ma cosa succede quando le chiediamo di uscire dagli schemi e scovare il
cigno nero?
È in quel momento che l’uomo fa scacco matto. Infatti, non basta sapere: serve immaginare. Dalì non
ha solo dipinto orologi, li ha fatti sciogliere. Ungaretti non ha solo visto foglie cadere, ma con un gioco
di retorica le ha trasformate in soldati.
Per Chatgpt ci sarebbe stato solo un: “in autunno cadono le foglie. Vuoi che completi la frase con aggettivi?”. Punto. Nulla di più.
E se alla creatività, ci sommiamo altri due tratti che ci rendono unici, lo sguardo e l’attenzione, ci
renderemmo conto che l’intelligenza artificiale resterà sempre e solo la spalla che supporta. Guardare
significa dare direzione, fare attenzione vuol dire porre le domande giuste. Cartesio ci perdonerà se
oggi decidiamo di modellare il suo principio, che da “penso, dunque sono” diventa “domando, dunque
sono”.